SIAMO “CIMBRI”? di De Sero Michela (classe 4D1) Un fenomeno che ha caratterizzato la storia di questi territori montani è quello dell’antica presenza di popolazioni provenienti dal Nord. Qui in particolare lo testimonia l’abbondante toponomastica rimasta a denominare tanti nostri luoghi fra le contrade (campi, prati, boschi, valli, cognomi.. solo alcuni esempi fra le centinaia localizzati: “Raute, Frìdele, Slont, Slonfe, Balt, Tècele, E’chele, Cùbele, Bise,Ebe, Grabe, Gane,Senèche, Pròneche, Metarbise, Làute, Stòmete, Recantal, Tamerloche, Techi, Perli, Gheghe, Staudri, Làngari, Ortomani,Gaiga, Gecchele, Bauce...”) oltre ad altri segni (anguane, orchi, credenze,caratteri somatici, parole come “birte, ose, balcare, cufo, fiapo, sbrego, schinco, sgrafo..”) che ci legano alla tradizione che volgarmente passa per “cimbra” ( erroneamente perché non ha nulla a che fare con i Cimbri della storia, ma solo perché uno storico del ‘500 definì “cimbre” le popolazioni scese dal Nord e la denominazione rimase tale).Tutti segni che illustri studiosi collegano allo tedesco del ‘ 200. L’area di consimili presenze va dall’Altipiano dei VII Comuni d’Asiago ai XIII Comuni della Lessinia (Lessini=Monti Simbri in antiche mappe). Ricordiamo tre zone dove la parlata cimbra sopravvive: Roana, Luserna, Giazza. Le migrazioni dal Nord che ci riguardano partono ancora dal periodo longobardo per continuare con gli Ottoni e, meglio documentate, nei primi secoli del II° millennio (con la nascita dei Comuni, anche qui) e poi quando gli Scaligeri concedono questi territori in buona parte ancora boschivi a popolazioni tedesche qui migrate e dedite alla lavorazione del legno, a far carbone e a svegrare in cambio della sorveglianza di sentieri montani. Ricordiamo i nostri parroci “de Alemania”nel ‘400, le istanze di queste genti per avere preti che parlino “cimbro” fino alle soglie del ‘700 ( realtà favorita dall’isolamento), lo stesso fenomeno della nostra scultura popolare vivo in una ristretta area “cimbra”. Scrive il Caliaro: “è certo che anche nel Comune di Crespadoro per lunghissimo tempo la lingua comunemente parlata fu un dialetto tedesco. L’oratorio di S.Pandolpho, primitiva chiesa di Marana, quello di S.Wolfgang a Crespadoro (fine ‘400) vicino alla ben più antica chiesa di Sant’Andrea, le chiese di S. Margherita di Durlo e di s. Nicola d’Altissimo (‘200) sono di documentata origine “cimbra”. Tanti di noi ricordano il “Birte” di Campodalbero; “birte” in cimbro è “oste” e di oste si trattava. Negli ultimi secoli maggiori aperture col piano mettono lentamente in ombra la “cimbricità” della zona. Resta certo, comunque, che la storia originaria di queste contrade ha avuto a che fare con popolazioni tedesche migrate nel territorio. abc cimbro CIMBRO ITALIANO CIMBRO ITALIANO Balt (balt, vald) = bosco Tal = valle Laita (làite) = declivio Bise (bise) = prato Bisele = piccolo prato Ebe (èben ) = piano,pianeggiante (cfr. gebbani) E’cchele (eche, eike) = dosso, spigolo (diminutivo) Slont (slunt) = gola, voragine Tècele (teise) = piccolo fienile (Techi, fienile) Gaiga (gaige) = piva di scorza di salice Perli ( pear=orso) = piccolo orso Gecchele (Jeckel) = Giacomino Birte (birt) = oste Purga (purge, purg) = rocca, castello Staudri (stàude) = cespuglio, arbusto Pòdeme (poden) = fondo produttivo CRESPADORO E L’ORO : idoli, reperti, leggende
Chi vuole collegare il nome del paese ad altro che non sia l’oro non conosce le antiche tradizioni del luogo. Tradizioni fiorite nel tempo, legate sempre a questo nome oggi unito, ma in passato espresso anche in Crespad’oro, Crespa d’oro, Crespaurum, Crespittorio (il nome inciso su una pietra tombale del 1368 ora nel museo d’interesse locale aperto dal 1985). Già dal 1329 il nome è formalizzato in Crespadoro o Chrespadoro. Le voci che collegano all’oro non sono né poche né nuove. Già J. Cabianca scriveva che “Crespadoro deve il nome alle terre aurifere, poco distante dalla sua chiesa!”. Non mancano neppure cenni raccolti dalla stampa. Si legge nel Maccà “che verso la sommità della montagna di Marana siavi stato né vetusti tempi qualche tempio d’idoli , ed ivi, come intesi, sono state trovate medaglie antiche romane di metallo”. Medaglie che in realtà sono vere monete rinvenute, come scrive G. Bologna nel 1858, da scavi promossi verso il Campetto e il Colle del Basto di fianco al Marana, dal parroco di Fongara: e “vennero dissepolte antiche monete romane e urne cinerarie”. P. Visonà (Università di Santa Barbara in California, esperto numismatico) ha chiarito pochi decenni fa la qualità di queste monete: isolati esemplari in bronzo della Sicilia (Siracusa, Camarina), dei Tolomei, di Apollonia in Illirica rinvenuti a Marana. Fra le monete del Colle del Basto ne figurano di Aureliano,M. Aurelio Giuliano Tiranno, Costante I°, Costanzo e Costantino Magno, ritrovate tra frammenti di vaso di vetro celeste. Nella memoria popolare vive ancora la leggenda del “Tesoro di Campetto” abbandonato lassù dai soldati di Mario. Va ricordato che sul Marana dicono fosse insediata una “statio romana” a guardia di questo ideale luogo di vedetta proteso sulla pianura veneta. Da qui la presenza di monete e altre vestigia di quei tempi. C’è chi sostiene che nel “vetusto tempio d’idoli”, lassù, i pastori presentavano offerte propiziatorie. La leggenda popolare dice come questo “Tesoro” sia caduto nelle mani d’un diavoletto che ogni tanto lo stende a soleggiare e se qualcuno si avvicina fa scatenare proibitivi temporali. Di tale leggenda parla anche O. Beltrame in “ Arzignano nella storia” (1937). G. Pieropan scrive che tale tesoro sia stato “un vitello d’oro ottenuto dall’Urbe quale scaramanzia”. Nasce da quei lontani tempi il legame tra Crespadoro e l’oro? Una nota della Storia Universale del Cantù fa cenno d’una cava d’oro sul lato ovest di Crespadoro. E’ il luogo dove la tradizione popolare ne indicava la presenza. Ugualmente da un articolo di giornale:”Però l’oro è stato segnalato nel vicentino da G. Jervis nel primo volume dei ‘Tesori sotteranei d’Italia nel 1873. Parla di presenza di terra aurifera di natura alluvionale nei pressi di Crespadoro..”. Da G. Mantese, in una noticina:” Si mostra anche ai nostri giorni la galleria dove si estraeva l’oro”. Vivono poi i miti popolari tramandati attraverso i secoli a conferma del legame tra Crespadoro e l’oro. Quanti conoscevano le “poste” segrete, ora sui monti, ora al piano! Pare che ognuno sapesse la “sua”. Un tal Marina localizzava l’oro verso il Mènderla, tra le rocce, dove colava “come giassarotid’inverno”. Un prete di Campofontana aveva pure una sua “posta”: scendeva in una buca dove rilevava “piere slusenti” che portava a Verona, da certi ebrei che conoscevano il “conio”. A sera faceva ritorno con un sacchetto di “marenghi”. Un tal Catasso , presso la Ferrazza, aveva perfino dei dipendenti. Ma dicono sia finito anche lui, come tutti, in una povera cassa “de pesso”. Un Tibaldo avrebbe usato lungo i suoi percorsi di ricerca un’apposita “calamita”. La maggioranza peraltro sosteneva che l’oro sta nei gomiti. Si diceva che le miniere d’oro “fiorivano” ogni cent’anni emettendo fiammele. L’ultima volta sarebbe accaduto nel 1870. E nel 1970? Pare vi siano saliti nascostamente cercatori dal fondovalle a verificare il fenomeno, positivamente. Ce n’è anche per domani. LE 60 VALLI DI CRESPADORO
Valle Molesse ( dal Passo della Zevola al Progno) Val Fraselle (da Freselle di Sopra scende a Giazza, nel Progno) Valle Roval (breve valle, a destra di Fraselle di Sopra) IL CHIAMPO (il torrente della Valle, dai fianchi del Gramolon all’Adige, Km. 43 –Indipendente , fu collegato all’Adige nel 1593- Confluenti di sinistra: (di schiena alla sorgente) Val Negetal (dal Campodavanti, passando poco oltre il Tàngaro Val Crogental (dal Campodavanti passando al di là dei Lovati) Valle del Cattarin (dal Cattarin e giù di fianco alla Piatta) Val Rope (dal Campettoa poco sotto il Ponte del Diavolo) Valle dei Cento Pezzi (da sotto il Campetto alla Val Fonda) Valle Base (ancora da sotto il Campetto alla Val Fonda) Valle Anzini (dal fianco ovest dell’Anzin alla Val Fonda) Val Fonda o Consolari (terminale delle precedenti) Val Bona (da Sella Campetto si unisce in basso alla Val Bianca) Valle della Sassara (da sotto il Campetto alla val Bona) Valle del Rossegume (più in basso, come la precedente) Valle dei Zanconati (dal fianco della contrada alla Val Bona) Val Bianca (da ovest del Marana si unisce in basso alla Val Bona) Val Sla (confluisce nella Val Bianca in alto) Val Grabe (da poco più in basso va nella Val Bianca) Valle del Bosco (Fra Pasquali e Cortesani, scende nel Chiampo9 Valle dell’Orco o dei Perli (dal Bajaro ai Zanzini, nel Chiampo) Val Cavallo o Ofani (da sotto il Cavaliere per la precedente) Valle Dell’ Orso (dal fianco est dei Perli alla Valle dell’Orco) Vajo del Buso (da set di Zancon alla Valle dell’Orco) Vajo dei Can (dalla Groba ai Boschi, nella Val dell’Orco) Valle delle Lambre (da sopra il Xon a Colombara) Val fontanona (dai Verme a val delle Lambre) Il Righello (Bocchetta Marana,Barchi, Brassavalda e giù fino ai bauci. Confine con Altissimo) Valle della Carega (Vajo ai Barchi per il Righello) Val Grancestone o Barco (dai Barchi al Righello) Val Senèche o Làita (oltre Bosco, Ponte Lasta, Righello) Val dei Prasui (dal Bosco a Ponte dei Lasta) Val Grobe (dalle Grobe al Righello) Val delle Mughe o Lodre (dal Mottotondo al Righello) Confluenti di destra (di schiena alla sorgente) Valle Camona (fra Laghetto e Sengi Rossi, va nel Chiampo) Valle dei Sengi Rossi (fra il Laghetto e il Lobbia, va nel Chiampo) Valle del Laghetto (fra i Sengi Rossi e il Lobbia, va nel Chiampo) Valle dell’Orco (fra Lobbia e la Montagna Albia, va nel Chiampo) Vajo Fontana Fredda (scende dal Monte Scalette, per il Chiampo) Valle dei Prat (dal Porto, per Malga Prat, fino al Chiampo) Valle Lion (da presso il Gerolin a sotto il Ponte del Diavolol) Valle dei Sabbioni (dalle Sabbionare ai Graizzari, con Val Cimbra) Val Cimbra (da fianco al Gerolin, si unisce alla precedente) Valletta Sottoroe (confluisce nella Valle dei Sabbioni) Val Bozzachera (da oltre i Zordani al Chiampo a nord deLovatini) Valle del Pròneche (dai Micheletti al Chiampo, presso Lovatini) Val dei Can (da Volpiana di Sotto il Chiampo) Val de Sacheto (da verso i Bordellini al Chiampo) Valsecca o del Sacco (fra Dosso e Sacco scende presso Ronda) Val Nera (dalla Purga di Bolca al Chiampo, presso il Folo. Confine) Val Màsara ( dai Peroni confluisce nella Val Nera) Il Corbiolo (dalla Casarola a Ferrazza, correndo a ovest della Purga) Valle della Casarola (scende dai fianchi del Telegrafo) Valle di Sant’Antonio (da ovest della Purga al Corbiolo) Val Vajola (da dietro la Purga al Corbiolo, Ponte dei Pasquali) Valle del Turco (dai Bruni a sotto gli Scoj, nel Corbiolo) Valle delle Lore (Staudri, Ferrazza, Corbiolo) Valle delle Slavine (Orche, Corbiolo, a nord di Ferrazza) Valle del Fero (GaigaS.B., Busa del Fero, Corbiolo) Valle dei Boschi (dai Cattazzi Durlo al Corbiolo) I “CORGNOI”
I corgnoi a Crespadoro godono di antico inalterato prerstigio. Per loro il paese organizza una grande festa annuale l’8 dicembre: la “mostra-nìmercato dei corgnoi”, con manifestazioni ricreative e culturali, che attira gli interessati anche da fuori provincia e regione. La manifestazione è segnalata sulle pubblicazioni nazionali di elicicoltura. Presenza e consumo di questa particolare specie (belix pomatia poercolata- vedi gusci in mostra) sono segnalati in loco già dal ‘600, ma certamente lo erano ben prima chissa da quando, pertanto, fanno parte della dieta locale con una caratteristica ricetta ereditata da un lontan passato Le lumache vengono raccolte nel territorio(particolarmente adatto al loro habitat) allo stato libero, da luglio in poi (dopo il periodo riproduttivo), quelle dissotterate col “raspacorgnoi” in inverno passano per le migliori(corgnoi de raspa). Alre sono allevate in apposite “corgnolare”. La carne dei corgnoi è saporita e magra, carne da palato fine, da gustare lentamente. La gran parte della produzione va in mano ai mercanti. Il consumo locale è in preminenza invernale,un piatto tipico del territorio. CRESPADORO-Cenni di storia civile La vita di Crespadoro, alta Valle del Chiampo, nasce tra ombre silenziose; cosa peraltro comune ai piccoli centri di provincia. Il territorio segue la politica di Arzignano, capoluogo della Valle, senza particolari sussulti locali. Evidente l’infiltrazione di popolazioni germaniche dai tempi dei Longobardi e poi degli Ottoni , meglio documentata nei primi secoli del millenio quando calano sui monti ondate di coloni tedeschi (erroneamente detti “cimbri”) che popolano queste terre per viverci e per creare paesi e contrade. Lo testimoniano anche chiese e oratori (questi scomparsi) qui un tempo dedicati a santi nordici (San Wolfgang a Creaspadoro, Santa Margherita a Durlo, San Pandolpho a Marana..). Il fenomeno riguarda l’intera zona montuosa dal Sud Tirolo in giù (cfr.Luserna, Carbonare, Altopiano d’Asiago, Trento, Recoaro e quindi la Lessinia). Antiche leggende,ma anche reperti locali, assegnano ai nostri monti il ruolo di “vedetta” nel periodo romano e recenti ritrovamenti archeologici riportano la zona ben più addietro nel tempo. Il Mantese dà comunque alla chiesa di Crespadoro una posizione di preminenza locale, col titolo di “pleba”, già verso il mile e la pone, “dopo la pieve di Chiampo”, come “la chiesa più antica della Valle”. E si sa che una chiesa richiama attorno a sé una comunità civile. Col declino del sistama feudale (1200), nel ristretto territorio prendono il via due Comuni: Crespadoro (con Marana) e Durlo (con Campodalbero). Emtrambi presentano per qualche secolo sacerdoti “de Alemania”.Durante il periodo scaligero (1300) godono di privilegi per la custodia dei sentieri (da qui passa la nota Via Vicentina che collega con Trento, quandoancora l’Impero conta). Predominando “boschi selvosi..vivono solamente del taglio delle legne , fanno carbone e pascolano,continuando a svegrare. Nel 1329 si stabiliscono i confini tra i due Comuniponendovi i “termini” e nel 1451 vengono definiti quelli tra Vicenza e Verona. Partecipano alla inconcludente sollevazione antiscaligera del 1336 con Arzignano. Passati a Venezia (1404), si organizzano meglio civilmentee si danno regole scritte, ma le loro “vicinie”si ritrovano costantemente impegnate nei soli problemi della terra,unica risorsa per 600 abitanti di Cresoadoro e gli 800 di Durlo. Isolati geograficamnte tra i monti, su rive disagiate che tendono al basso, innalzano una ingegnosa teoria di masiereche formano i terrazzi tuttoraesistenti;lottano contro alluvioni, carestie, pestilenze,aggravifiscali e controi soprusi di nobilicittadini (via vioatrissino,Lanzi, Porto, Valmarana, Mattarello Mastini, Cordellina, Nanti..) che si impossessano di campi e pascoli, di decime e privilegi Costretti a implorare aiuto dall’alto, vivono in dignitosa libertà, legati saldamenti alla loro chiesache sola li istruisce e alle antiche tradizionie credenze, superandocon singolare caparbietà ogni riccorente avversità. Divisi da strani confini tra loro e con i vicini veronesi, si susseguono controversie fra paese e paese, fra chiesa e chiesa. I diritti, anche minimi, si difendono coi denti. Dovendo vivere in autarchia per l’isolamento, si occupano di bestiame (mucche, pecore, maiali, pollame); si fanno da sé carbone e calce (cfr. le 2carbonare” di Campodalbero e le varie “calcare”); praticano l’indispensabile artigianato e sfruttano anche le più insignificanti risorse che la natura offre (castagne, corgnoi..). Lungo le valli oriundi bresciani del ‘400 fanno nascere fucine per la lavorazione del ferro (cfr. i Ferrari lungo tutto il Righello, Ferrazza presso il Chiampo, i maj dei Làngari e presso Ronda, i fabbri Biscon, sardela..). Più tardi compaiono lavoratori delle pelli (cfr. i Caliari dell’omonima contrada di Durlo e i vari Pellizzari di Pozza e Cortesani; noti i falegnami Eli, Tromba..). Si occupano di lana e “canevo” (cfr. presso Ronda e i campi ancora detti “canevaro” sparsi qua e là). Accertato e intenso l’allevamento del baco da seta (i “cavaliere”) dal ‘600 in avanti. Presenti un po’ ovunque molini e casare. Ingegnose attrezzature, documentate in un museo a Crespadoro, agevolano il duro lavoro dei campi. Ma solo parte del vastoterritorio è abitabile. Singolare l’attività di abili scalpellini che dal ‘500 in avanti lasciano fra le contrade un’abbondante patrimonio di scultura popolare che dimostra rara sensibilità per l’arte, (sottolineata dalla stessa struttura delle vecchie contrade) e per la religiosità a cui spesso si ispira (cfr.Matio Pelizaro, Dordo, Romano, Tamarindo..). Nel sec. XVIII i “colonnelli” di durlo si smembrano e si ricompongono, ma la convivenza rimane problematica. E i problemi non mutano col mutare dei dominanti, dopo Venezia Napoleone e l’Austria. Nel 1815, tra lotte e dissidi, avviene la concentrazione diDurlo con Crespadoro e nel 1866l’unione all’Italia. Ora Crespadoro, su 30 Kmq, di superficie e con tutti i servizi civile e sociali, è il centro dell’alta Valle, un centro vivo con condotta medica, faramcia, scuole, caserma cc. E forestale, banche, teatro, museo, coro misto, gruppi parrochiali sportivi ricreativi sociali combattentistici culturali assistenziali, riserva caccia, mercato mnesile. Superato il periodo fascista si entranel vertice della guerra vivendo, nel 1944, i giorni neri delle rappresaglieche mettono in ginocchio la popolazione. Bruciata anche la documentazione storica sociale dell’antico Comune, ora difficile da ricostruire Crespadoro sarà medaglia d’argento al v.m. L’avvento dei tempi nuovi si fa sentire ache sulle montagne, prima con una forte migrazioneverso zone vicine e lontane già industrializzate (da 3200 a 1200 abitanti) poi con la corsa all’industrializzazione della Valle, con tutti i problemi sociali che accompagnano ogni violenta trasformazione. Oggi il territorio vive un benessere maggiormente avverti6to, dopo tanti travagli. LE ATTIVITA’ LOCALI AVANTI L’ERA INDUSTRIALE
La maggiore attività era la terra che dava tutto e, pur avara, veniva veniva pazientementecoltivata palmo per palmo. “La terra è santa”, si diceva ed era l’unica ricchezza. Dai pochi spazi arativisi ricavava frumento, granoturco, patate. Lungo le valli c’erano i prati con le “roste” per “sgoassare” (irrigare), sparite nel dopoguerra. Dovevano fornire la pastura invernale per il bestiame (fieno, ardiva,missiaia [fieno mescolato a paglia], in più frascari e canari- anche il bestiame faceva quaresime). Fino ai 600 metri si coltivavano le viti. A parte le zone abitative più elevate, tutti si facevano il vino in proprio (vin grosso, vin picolo, graspia). Alle quote collinare si produceva del buon vino; e se ne vendeva. Alcuni vendevano frumento, sorgo e patate, o avendone in più o per bisogno di soldi. La fame stava buona. Le pecore erano frequenti, specie per i meno abbienti; qualcuno doveva accontentarsi di una capra. Molti tiravano su un maiale per ucciderlo d’inverno. Tutti avevano del pollame. Le donne con le uova dovevano provvedere quanto occorreva in casa (olio, filo, sapone, stoviglie, sale..). Chi possedeva piùterra avevaaveva anche una stalla più abbondante. Chi ne aveva meno e si trovava magari con più braccia disponibili, prestavalavoro presso qualche “bacanoto”. E tutto il lavoro si faceva a braccia.C9era solo una certa attrezzatura per i trasporti (carro, groja, slitta, barusola, carriola),,). Per il legname dei boschi solo alcuni usavano la teleferica. D’inverno risistemavanogli attrezzi da lavoro o ne facevano di nuovi e si provvedevala legna per la famiglia. Anche le travature dei fabbricati si preparavano in proprio. Pure qui la maggior parte delle case erano coperte a paglia.fino al tardo ‘700. In questa stagione si rimettevano in ordine le strade di contrada con le “opere obbligatorie”. Presso casa si coltivaval’orticello. Abbondanti i fagioli, i radicchi,le zucche in mezzo ai sorghi (per il maiale o per fare la “mosa”. Cibi poveri erano di norma (castagne, nespole, ricotta affumicata, formaggio magro, corgnoi, castrado..). Frequente il bisogno di sistemare muri a secco sui terrazzi. Un guaio per la terra veniva dal suo forte frazionamento: un pezzo qua uno là, spesso lontano anche chilometri dalla contrada; conseguenza di di secolari divisioni tra fratelli. Pochi possedevano buone aree accorpate. Da ciò l’emigrazione, magari solo stagionale (cfr. le lusine della Prussia). Ma lungo i secoli della “terra madre” anche il nostro contadino si ingegnava in altre attività che potevano fornirgli del denaro , sempre così scarso in famiglia. Una di queste riguardava i “cavaliere” (baco da seta). Si tenevano in forma i “morari” per la foglia. L’attività già riscontrata nel ‘600, è durata fino al recente dopoguerra. Le “galete”finivano nelle filande del bassovalle. Qualcuno risciva anche farsi della seta in proprio (seta grezza). Pure la lavorazione della lana ha avuto nell’ambiente la sua storia. Pecore e lana. Vi sono stati in attività diversi “folli” e telai che producevano la “medalana” usata per camicie epantaloni (“che i durava n’eternità”). Si lavorava lana , cotone e “canevo”. Ancora attualii toponimi “Canevaro “ dove si coltivavava la canapa. I molini, nel territorio, sono stati addirittura una ventina, concentrati soprattutto lungo la Valletta ( Cartiera, Zanzini, Colombara), nella bassa Valmora (Molin de Ronda, Sacco) nella parte terminale del Corbiolo (Scogli) e del Righello (Repele, presso Fòsaro); ma hanno funzionato anche al Bosco di Marana, in quel di Campodalbero (Molino,Graizzari) e di Durlo. I “murani” erano una personalità nell’ambiente e hanno chiuso solo nel dopoguerra, relegando tra le rarità la solita sempre presenta polenta. Frequenti pure fino a pochi decenni fa le casare (Piazza, Bordellini, Rapanei, Meceneri, Volpiana, Bosco, Cortesani, Orche, Gaiga..).Formaggi, burro , “puine” e “scori” erano preziose nell’economia familiare. Ultimo a chiudere il Caseificio locale che ha avuto vita intensa ma breve. Il “majo” più noto è stato quello sotto i Làngari, di Campodalbero. Dava attrezzi d’una “tempra” imbattibile. Uno sul Chiampo ( asud del Sasso Moro) è stato portato via dall’alluvione del 1905. A Campodalbero, dove le granaglienon arrivavano, si faceva carbone dolce di legno, una delle più antiche attività della zona, dal tempo dei “cimbri”. Carbone che finiva spesso a Valdagno fino a non troppi decenni fa. Frequenti le “carbonare”anche più in basso, assieme alle “calcare” per la calcee alle cave di pietra da costruzione (Astaro, Sasso Moro, presso il Mottotondo, oltre il conte,,).Vive pure il ricordo dove si fabbricavano coppi (Cortesani, Corte). Più di una contrada avevail suo “marangon” (falegname)per fare carri, ruote, groje, carrette, usci, panche, cassettoni.. Lavorava per sé e per ibisogni delle famiglie. Così succedeva per il ciabattino (“el scarparo”) che, oltre in casa propria,faceva servizio a domicilio, per ogni richiesta. Le scarpe ”taconà” non davano problemi, come per le “braghe taconà”. Nota d’antica data a Crespadoro anche il miele (rinomato, secondo il Veronelli, quello di Marana), attività ancora in vita. Sempre poco presente il commercio per l’isolamentoe le distanze dai grossi centri. Pochi i negozi locali. Meglio per i “sensari” di bestiame in attività speciedurante i mercati. Un tempo così vivi a Crespadoro. Un’attività singolare e distinta quella degli “scultori popolari” che dal ‘500 ad oggi ci hanno lasciato un prezioso Patrimonio per cui il paeseè noto nel “gran mondo” delle arti. A fianco agli scultori gli scalpellini e i muratori che hanno tirato su case, cantonali, colonne, balconi, portali. Gradinate e e manufatti vari di rara bellezza. Singolare anche il richiamo alla villeggiatura, documentata nei primi decenni del secolo a Marana (i veneziani). Studentessa: De Sero Michela della classe 4d1. Ricerca realizzata durante la lavorazione del filmato riguardante Crespadoro in occasione del concorso "Identità Veneta 2005".Responsabile del progetto: prof. R. I. Marescotti. (15/03/2005) |
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